Modena – Quando è stato inaugurato, il 9 aprile del 1990, era il secondo d’Italia per dimensione della cupola. Subito dietro Milano. Oggi, dopo 32 anni, rimane nella top ten italiana, ufficiosamente all’ottavo posto a pari merito con Cagliari, e comunque il più grande dell’Emilia-Romagna.
È il planetario di Modena, meglio conosciuto come il civico planetario intitolato alla memoria di Francesco Martino, il prof. che insieme a Mario Umberto Lugli ha lottato per la sua nascita.
È uno di quei “giacimenti nascosti che persino noi modenesi stentiamo a riconoscere. Tra i 138 planetari presenti in Italia censiti dal Worldwide Planetariums Database è una vera chicca”. Parola di Enrico Artioli, direttore in carica dal 2015 e deus ex machina della struttura di viale Jacopo Barozzi. Docente di Elettronica al Corni con un passato da consigliere comunale, Artioli è un appassionato. Una passione e una dedizione incondizionata che condivide con altri 20 volontari, “fondamentali per fare andare avanti la macchina”.
“Se in città a occhio nudo si scorgono alcune decine di stelle, sulla nostra semisfera da 10 metri di diametro simuliamo la visione di migliaia di corpi celesti mettendo a sedere fino a 77 persone”, si infervora Artioli.
La peculiarità del planetario geminiano “è avere una cupola in alluminio traforato che consente, diversamente da quelle in muratura, di ricreare condizioni di buio totale. E tra aula magna, biblioteca e laboratorio solare i posti a disposizione diventano altri 150″.
Ma il vero fiore all’occhiello di tutta la struttura è il proiettore elettromeccanico Zeiss ZKP2 acquistato nel 1981 per 182 milioni di lire. “Prima di essere installato passò un decennio”, spiega Artioli. “All’epoca, sul proiettore rimasto negli imballaggi per l’impossibilità di trovare una degna collocazione, si consumò un’accesa battaglia politica. Il planetario come lo conosciamo oggi, nell’edificio attiguo al Corni, è una soluzione a cui si è arrivati nel 1990”. Inizialmente si parlava di sistemarlo ai Giardini ducali, poi addirittura al Parco Amendola.
Modena, oltre che dirsi devota ai suoi canali, può orgogliosamente vantare un solido retroterra astronomico. “Fin dal XVI secolo si è distinta per essere una città di grandi astronomi grazie a concittadini come Geminiano Montanari e Gaetano Fontana”, aggiunge Artioli. “Tra XIX e XX secolo vale la pena ricordare tra gli altri Giovanni Battista Amici, Pietro Tacchini, Annibale Riccò e Carlo Bonacini”.
Uno dei sogni a occhi aperti più ricorrenti per il direttore è una cittadella della scienza che dal nucleo originario del planetario prenda nuovo slancio. “Il Cesda, il centro sperimentale per la didattica dell’astronomia a cui il Comune ha affidato la gestione del planetario, doveva diventare un catalizzatore di tutte le attività scientifiche a beneficio della nostra comunità. A quell’idea è ancora possibile dare linfa”.
Prima del Covid, ogni anno, confluivano al planetario di Modena 17mila persone. Oggi i numeri sono diversi, tendenzialmente in calo, ma Artioli non ha intenzione di arrendersi.
“Dopo la pausa estiva, stiamo ripartendo con tante attività tra formazione, divulgazione e convegnistica. Siamo aperti ai modenesi di ogni età, esperti o neofiti non ha importanza. Ed è a loro che rivolgo il mio appello: aiutateci a tenere alto il nome di Modena fra le grandi città di scienza”.