Il robot come nuovo fenomeno tecnologico domestico nel prossimo futuro, come è successo coi personal computer negli anni ’80. Ne è convinto Giuseppe Riva, professore ordinario di Psicologia Generale all’università Cattolica di Milano. Per nulla timoroso di una ribellione degli «umanoidi» nei confronti degli umani, come in tanti film di fantascienza: «I robot sono fortemente regolati. E da scienziato cognitivo ho molti dubbi che possa scattare l’autocoscienza artificiale» spiega il professore Riva che è anche direttore dello Humane Technology Lab, laboratorio d’ateneo nato due anni fa dove ricercatori di robotica lavorano a fianco ad esperti di psicologia, diritto e altre scienze umanistiche per studiare l’impatto della tecnologia nell’esperienza umana, anche con l’ausilio di robot.
Il tema è pure al centro del recente volume “Humane Robotics: A multidisciplinary approach towards the development of humane-centered technologies” (Vita e Pensiero), curato da Riva con Antonella Marchetti.
Professor Riva, i robot ci «ruberanno» i posti di lavoro?
«L’avvicendamento tra uomini e robotica è già realtà nelle catene di montaggio dell’automotive, penso alla Brembo. Il vantaggio per l’industria è la capacità di poter assemblare pezzi 24 ore su 24, persino al buio. Io credo che la manodopera di base verrà progressivamente sostituita dai robot ma allo stesso tempo il lavoro per gli umani non scomparirà perché aumenterà il bisogno di figure di livello più elevato, con competenze per elettronica ed ingegneria. Semmai il problema già adesso è che esperti di robotica, come di intelligenza artificiale e big data, non siano facili da reperire nel mercato del lavoro: sviluppare anche questi skills nei percorsi scolastici sarebbe importante».
All’estero ci sono «umanoidi» che si occupano di anziani. Che ne pensa?
«Il fenomeno è nato in Giappone, Paese dal forte invecchiamento demografico, dove la società Softbank ha realizzato Nao e Pepper, robot relazionali in grado di condurre conversazioni con l’anziano, alleviando la solitudine. Una funzione facilitata proprio dall’aspetto: hanno una testa e un corpo, sono diversi dai bracci meccanici delle fabbriche. Ma la strada è ancora lunga: non solo questi robot non sono in grado di accudire l’ospite ad esempio preparando i pasti ma non sono neppure in grado di dare sempre una risposta pertinente. Finché il tema è il meteo non ci sono problemi ma il robot, non avendo una storia, non è in grado di condividere alcuna emozione o il suo vissuto. Un altro limite è tecnologico: le batterie si scaricano dopo 3 o 4 ore di “lavoro”. E poi c’è il costo proibitivo dei robot da compagnia, simile a quello dell’automobile. Ma è molto probabile che lo scenario possa cambiare nei prossimi anni, quando la loro intelligenza artificiale verrà attivata attraverso il cloud e non con processori interni, riducendone il prezzo. Lo stesso Istituto Italiano di Tecnologia sta lavorando da un paio di anni a un progetto di robot alla portata di tutti».