Pisa – «Quella che si definisce rivoluzione verde, finalizzata a conseguire la neutralità climatica entro il 2050 e a ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 55% entro il 2030, è innanzitutto l’attuazione di una rivoluzione culturale», riflette Marta Ciafaloni, vicepresidente dell’Ordine degli Architetti con una importante carriera da funzionario dei Beni Culturali.
L’architetto Ciafaloni sottolinea «il ruolo fondamentale delle pubbliche amministrazioni quali indispensabili cerniere tra il mondo sociale e le sue espressioni culturali, economiche e produttive. Non possiamo ignorare quanto la loro efficienza sia stata trascurata e addirittura compromessa da orientamenti e scelte politiche inadeguate».
Per non ripetere gli errori del passato e procedere verso «una reale transizione ecologica – spiega – bisogna lasciare spazio ai talenti, a un corretto uso della tecnologia orientata al benessere dell’uomo e a una costante tolleranza intesa come capacità di assorbire diversità più che capacità di coesione, poiché una società che non sa aprirsi al cambiamento ha grande possibilità di regredire. E tutto ciò è impossibile senza una solida base culturale».
Architetto Ciafaloni, i problemi di oggi sono eredi della miopia del passato.
«I tagli, operati nelle fasi di governo in maniera non selettiva, sono responsabili di un’assenza diffusa di aggiornamento e specificità professionali e di una palese e insostenibile carenza di organici, necessari alla gestione urbana e sociale ed evidenziatisi clamorosamente in fase di attuazione del PNRR. Occorre chiedersi come in tutta Italia si sia potuta ignorare così a lungo la carenza infrastrutturale o come, più volte negli anni, si siano potuti adottare provvedimenti per alimentare i settori delle costruzioni e del commercio, ottenendo come risultato la mera speculazione che si è poi ritorta contro gli stessi interessi di quegli operatori e contro l’interesse pubblico».
C’è un rimedio?
«Occorre graduare gli interventi secondo concrete priorità e con una visione globale a medio e lungo termine, avendo presente che il ruolo e la responsabilità sociale prescindono dal mandato dell’incarico politico; occorre una progettazione consapevole: il ritardo economico e strutturale di consistenti porzioni di territorio italiano incide sull’economia nazionale e deriva in gran parte non dalla mancanza di denaro ma dalla cattiva gestione dei beni comuni e dall’incapacità di analisi, organizzazione e programmazione. Quel ritardo ha prodotto degrado urbano, carenza infrastrutturale, sanitaria, abbandono scolastico, degrado culturale, morale e sociale, trascuratezza e insensibilità verso l’ambiente e l’habitat naturale».
Si ragiona di sviluppo, ma il rischio è che esso non sia equo.
«Si potrà parlare di vera transizione ecologica in presenza di una correlazione tra un pianeta in salute e una società giusta. Ma innanzitutto è necessario fare proprio il concetto di limite, avviando un processo che dal modello economico e sociale basato sullo sfruttamento intensivo delle risorse ambientali transiti a un modello che impiega, protegge, implementa e valorizza il capitale naturale, ponendolo alla base di ogni azione di pianificazione, programmazione, progettazione, con l’obiettivo di tutelare il benessere degli esseri viventi e del territorio».
In questo senso transizione ecologica ed energetica camminano insieme.
«La cooperazione multidisciplinare tra individui e istituzioni è garanzia del benessere delle future generazioni. Include i temi dell’agricoltura sostenibile, delle risorse idriche e dell’inquinamento, della corretta gestione e riciclo dei rifiuti, della mobilità sostenibile, dell’efficienza energetica degli edifici anche mediante la cooperazione di comunità e la costituzione di centri di accumulo capaci di far fronte alle problematiche di approvvigionamento energetico nei nuclei storici, nel rispetto di paesaggio e ambiente».
In questo il ruolo di architetti e urbanisti è essenziale.
«Bisogna attivare processi connessi con la pianificazione territoriale, integrata da una conoscenza del potenziale energetico e infrastrutturale. Il progetto di gestione e integrazione del verde urbano, ad esempio, anche da ripristinarsi in zone degradate soggette a riqualificazione, si connette alla progettazione della città in ogni fase. Se collegato alla cinta agricola e agli ambiti periferici mediante infrastrutture veloci e di mobilità dolce affiancate e integrate da ampi corridoi verdi di connessione che includono gli ambiti fluviali, il verde è capace di contribuire in modo significativo alla climatizzazione urbana nei mesi estivi e di svolgere un ruolo importante di salvaguardia della biodiversità».