Ci vuole un villaggio. L’aveva già detto Hillary Clinton, e molto prima di lei Cesare Pavese («un paese ci vuole…») Oggi si parla del modello parigino di «città dei 15 minuti» e dalla Svezia ci arriva perfino la città di un minuto. La parola d’ordine, in particolare dopo l’esperienza della pandemia, è riappropriazione da parte degli abitanti delle aree dismesse, delle piazze e delle strade, che fino ad ora erano tappezzate di macchine. Accorciare le distanze da casa al lavoro, alla scuola, allo shopping, al verde pubblico, al cinema o alla palestra serve per migliorare la qualità della vita, inquinare meno e respirare aria più pulita, ma anche per inventare una città capace di ricostruire il senso di comunità.
«Una città in cui a questa prossimità funzionale ne corrisponda una relazionale, grazie a cui le persone abbiano più opportunità di incontrarsi, sostenersi a vicenda, avere cura reciproca e dell’ambiente, collaborare per raggiungere assieme degli obiettivi», spiega Carlos Moreno, l’architetto franco-colombiano, professore alla Sorbona e consulente della sindaca di Parigi, che quest’anno ha aperto l’anno accademico dell’Istituto europeo del design a Milano, con un intervento a Ied Square cui hanno partecipato più di mille studenti. «Negli anni Novanta pensavamo di risolvere il problema dell’esplosione spaziale delle città attraverso la tecnologia: andare più veloci, più lontano, con metropolitane più rapide, per esempio. Poi abbiamo cominciato a preoccuparci delle conseguenze di questa espansione sulla vita degli abitanti.
E abbiamo scoperto che per rendere felice chi vive in città basta consentirgli di soddisfare sei esigenze principali: abitazione e lavoro dignitosi, la spesa, la salute, l’istruzione e il tempo libero. Per rendere la sua vita migliore dobbiamo ridurre il perimetro di accesso a queste sei funzioni.
Ho scelto il quarto d’ora a piedi per fissare un limite ottimale, ma può essere anche un quarto d’ora in bici per le città più grandi», precisa Moreno. È il pendolo che torna indietro. Dagli sfondamenti haussmanniani e dai falansteri di Le Corbusier si ritorna ai percorsi ciclabili e camminabili, dai grandi centri commerciali si torna ai negozi di prossimità, dai boulevards monumentali ai quartieri a misura d’uomo, fino ad arrivare a una singola strada, pochi isolati da ravvivare per starci meglio, come ha fatto l’agenzia svedese per l’innovazione nei trasporti Vinnova con Street Moves, il suo sistema modulare messo a disposizione dei cittadini, con cui si possono trasformare i parcheggi delle auto in spazi fruibili per le persone, con panchine per sedersi, tavoli da picnic e fioriere montabili in poche ore come mobili Ikea.
Questi «salotti pop-up» stanno spuntando in molte città svedesi, nell’ambito di un esperimento urbano noto come la «città di un minuto», che mira a trasformare ogni strada in un luogo sano, sostenibile e vivace entro il 2030. «C’è una consapevolezza generale in tutto il mondo che il ruolo dell’automobile nelle città debba essere ridotto, anche perché la prima fonte di emissioni urbane sono i trasporti via gomma. Se vogliamo limitare il riscaldamento globale, la vera soluzione di base è la “demobilità” e quindi dobbiamo smontare la città segmentata», sostiene Moreno. La transizione non sarà semplice. Le città che abbiamo ereditato dal ‘900 devono la loro struttura all’idea di efficienza attraverso la specializzazione: quartieri dove abitare, quartieri per gli uffici, quartieri per il divertimento. Quel modello ha portato a uno stile di vita in cui si passano ore in auto, piantati negli ingorghi in mezzo ai gas di scarico.