Lorenzo Principali è direttore dell’Area digitale di I-Com, Istituto per la competitività, un think-tank, con sedi a Roma e Bruxelles, fondato nel 2005 da un gruppo di studiosi, professionisti e manager italiani. L’obiettivo di I-Com è promuovere la discussione su temi relativi alla competitività in chiave innovativa. I settori di interesse di I-Com sono: digitale, energia, innovazione, salute e istituzioni.
Principali, tra i vostri oggetti di indagine rientrano da tempo le smart cities. Qual è la definizione più corretta di ‘città intelligente’?
«È la città in grado di sfruttare le tecnologie digitali per gestire in maniera ottimale le proprie risorse, essere più sostenibile e attenta a bisogni ed esigenze dei propri abitanti. Un’altra caratteristica rilevante è sicuramente l’integrazione fra organizzazioni pubbliche e private: devono essere entrambe orientate verso il medesimo obiettivo».
C’è un esempio pratico di questa integrazione?
«Uno su tutti, la piattaforma denominata ‘Smart cities marketplace’, delineata per congiungere, a livello europeo, i progetti legati allo sviluppo delle città intelligenti con industrie, piccole e medie imprese, investitori, ricercatori e altri stakeholder. Lo Smart cities marketplace è riuscito finora a mobilitare oltre 613 milioni di euro e a coinvolgere 17 network di investitori. Secondo quanto riportato dal portale della Commissione europea, il Paese che ha fatto registrare più progetti è la Spagna (31), seguita da Paesi Bassi (19), Svezia (18), Italia e Germania (entrambe con 16)».
A che punto è il nostro Paese nel percorso di realizzazione delle smart cities?
«Secondo lo ‘Human smart index’ Milano è al primo posto nella corsa verso la cosiddetta ‘smartificazione’ urbana. Se si eccettua Cagliari, piazzatasi al 19° posto, nella ‘top 20’ figurano soltanto città del centro-nord».
Cosa rende una città veramente ‘intelligente’?
«In primis, le novità tecnologiche: il cardine su cui si fonda la realizzazione di una smart city è rappresentato, infatti, dalle reti di telecomunicazioni. In particolare, nell’ottica dello sviluppo dei servizi innovativi al cittadino giocheranno un ruolo di primaria importanza le reti mobili di quinta generazione: il cosiddetto 5G. Diversi studi affermano che le infrastrutture 5G porteranno un contributo all’economia mondiale di quasi mille miliardi di dollari entro il 2030».
Qual è, attualmente, la copertura della rete 5G sul territorio nazionale?
«Occorre fare una distinzione: se si considera la copertura ottenuta con il cosiddetto ‘Dynamic spectrum sharing’, che consente a un operatore telefonico di sfruttare lo spettro di frequenze del 4G anche per il 5G, l’Italia sarebbe prima in Europa, con una copertura della popolazione compresa tra 96 e 99%. Ma sul fronte ‘5G standalone’ – che molti definiscono ‘il vero 5G’, perché basato su infrastrutture esclusive e non su quelle 4G – il nostro Paese è molto più indietro: siamo al 7,3%. Fa ben sperare la recente assegnazione dei due bandi per lo sviluppo di reti 5G, previsti nell’ambito del ‘Piano Italia 5G’ del Pnrr».