Reggio Emilia – Una stanza completamente bianca con dodici postazioni, tutte separate tra loro e davanti a ciascuna un piccolo sportello. E’ così che si presenta, appena entrati, il laboratorio sensoriale del Cirfood District.
La nuova struttura di 1.600 metri quadri è stata inaugurata a inizio ottobre in via Nobel a Reggio Emilia, poco distante dalla sede centrale della storica società cooperativa Cirfood, che è tra le prime in Italia nel settore della ristorazione collettiva. Il District nasce come luogo di sperimentazione ma non a titolo esclusivo della cooperativa, anzi: lo scopo è proprio quello di allargare il campo a collaborazioni con scuole, università, enti pubblici e privati, così come imprese e start-up. Il tutto con l’unico scopo di studiare nuove soluzioni per la ristorazione collettiva e far nascere una cultura dell’alimentazione più sostenibile.
COME È FATTO
La parte sperimentale del District si trova al primo piano, dove ad accogliere i visitatori c’è un grande open space denominato l’agorà; il primo piano invece è dedicato al co-working.
Marco Campagna, direttore innovation e strategy di Cirfood, quali sono le principali funzioni del laboratorio sensoriale?
“Potremmo dividerle in interne ed esterne. L’obiettivo verso l’interno della nostra cooperativa è offrire un metodo più scientifico e oggettivo legato al controllo qualità, grazie a un’analisi sensoriale di pietanze e prodotti finiti, seconda una scala qualitativa e un panel di assaggiatori. Il laboratorio può essere anche il luogo in cui vengono sviluppate nuove ricettazioni”.
All’esterno, invece?
“Può essere un servizio a supporto innanzitutto di attività di formazione, non a caso il laboratorio è stato sviluppato insieme all’Università di Pollenzo (Cuneo). Potremo così collaborare con altre università che hanno percorsi formativi legati all’alimentazione, penso per esempio a quella di Parma, che a differenza di Pollenzo non è dotata di una struttura simile. Sono tante però le sinergie che si possono creare: ci sono il mondo aziendale e la filiera produttiva, per analizzare in maniera scientifica i nuovi prodotti, o anche per eventi ed esperienze di team building. Non di meno le scuole e le esperienze dedicate ai bambini sull’educazione sensoriale e alimentare”.
Com’è strutturato il laboratorio?
“Fondamentalmente è composto da tre aree: una è quella di preparazione che è esterna e comunica con la cucina, tramite lo sportellino che si trova davanti a ciascuna delle 12 postazioni. La parte interna del laboratorio si sviluppa a ‘L’, in un ambiente volutamente neutro sia dal punto di vista visivo che sonoro. E’ importantissimo che l’esperienza sensoriale non venga influenzata da agenti esterni, per questo c’è anche la possibilità di usare luci colorate per neutralizzare al massimo le percezioni sul prodotto, un blind test a tutti gli effetti. L’ultima zona è la sala riunioni, dove il panel di assaggio si riunisce alla fine dell’esperienza e tramite una smart sensory box si ottiene il risultato dell’analisi sensoriale”.
In tutto questo, il laboratorio sensoriale è uno degli spazi del Cirfood District legati alla sperimentazione. Gli altri?
“Il laboratorio assieme alla cucina e al ristorante compongono un trittico di luoghi e tecnologie uniche nel mondo della ristorazione. La cucina ha di per sé un’estetica accattivante, visto che si affaccia sull’agorà, e ha all’interno tutte le tecnologie disponibili sul mercato. Permette di portare avanti sperimentazioni di ogni tipo, non solo sulla produzione e come organizzarla ma anche su come conservare gli alimenti”.
Poi c’è il ristorante.
“Esatto, uno spazio che si avvale di un sistema di telecamere evoluto, per tracciare ciò che avviene all’interno e testare i format di ristorazione e modelli di servizio. In questo modo si possono analizzare le reazioni dei consumatori rispetto alle novità. Il self service, la presenza della musica, la forma e il colore dei piatti: sono tutte variabili che possono avere un effetto sulla consumazione finale”.
Lei ha definito questi ambienti “unici”, ma cos’hanno concretamente di più da offrire?
“Porterei questa riflessione su tre ambiti diversi, il primo è senza dubbio quello della professionalità, perché sono luoghi in cui la ricerca viene portata a un livello di sofisticazione e qualità molto più evoluti. Il fatto che siano collegati tra loro poi, permette di essere più veloci nel misurare ogni tipo di situazione, dalla produzione e valutazione del prodotto fino alla somministrazione, in un unico spazio e momento. Ultima, ma fondamentale, è la possibilità di poterli aprire alla comunità: non è un servizio solo di Cirfood, ma anche a supporto di fornitori, università e imprese”.