Modena – I più pensano che l’intelligenza artificiale sia un territorio popolato da microchip, display e tastiere. Al massimo abitato da nerd in camice bianco come nei film di fantascienza. C’è chi invece lo immagina come un territorio popolato da animali. Animali fantastici, ognuno con caratteristiche particolari.
È l’artificio escogitato da intelligenze umane – un gruppo di lavoro formato da ingegneri, matematici, statistici e informatici, ma anche designer e filosofi – per introdurci in questa dimensione. Dopo anni di studio e lavoro in laboratorio – che è poi un convento, o meglio un ex convento in via Sant’Orsola 33 a Modena – Ammagamma ha deciso di dare alle stampe un ‘Bestiario di intelligenza artificiale’ (edito da Franco Cosimo Panini) che è una meraviglia già dalle prime pagine, quando ci vengono presentate le bestie uscite dalle matite colorate della designer Francesca Fiocchi che richiamano i principali attributi degli algoritmi fondamentali nel mondo dell’intelligenza artificiale.
Misteriose figure, come quelle del Bestiario scolpito sul Duomo di Modena, che hanno un apparente aspetto antropomorfo, ma ognuna di esse mostra una stranezza, un particolare fantastico e insieme mostruoso. L’Immaginatore Aquattrocchi, colui che si ciba e vive di immagini. Il Basilisco Illustratore, la lucertola curiosa che «detta un ordine degli eventi, per creare una sua lettura della realtà».
Il Nibbio Logo Poietico, un acuto rapace che ha imparato a riconoscere e comprendere le strane espressioni che escono dai discorsi degli umani e ora ci suggerisce le parole giuste mentre scriviamo i messaggi sullo smartphone e ci aiuta a trovare le informazioni che cerchiamo su internet.
E poi c’è la Regina Pluri Arto, una sorta di divinità dotata di insondabile memoria che si occupa di organizzarci, trovando modi sempre più efficaci di risparmiare tempo e di aumentare la produttività.
Perché il mistero che aleggia attorno a questi esseri continua a farci un po’ paura? Lo abbiamo chiesto al fondatore di Ammagamma, Fabio Ferrari, che dirige una comunità di oltre 60 professionisti.
Cosa non è possibile comprendere all’occhio umano?
«L’intelligenza artificiale è matematica e quindi non a tutti viene naturale comprenderla, anzi ai più spaventa. È necessario un cambio di concetto: da un modello di pensiero deterministico, quello umano, a uno statistico deterministico dove si passa dai dati al risultato. Per spiegare le leggi che governano quei dati c’è bisogno di altri strumenti, perché quelli matematici vanno bene per gli addetti ai lavori».
Quali per esempio?
«Quello della cabala, degli storici delle religioni, della filosofia e del design. Da qui nasce l’idea di fare il Bestiario».
Dopo aver letto il libro sorge una domanda: il computer può cambiare la vita dell’uomo?
«Gli animali possono essere colorati, attrattivi, seducenti, possono leggere il nostro pensiero, possono sostituirci in certi lavori intellettuali. Ma bisogna stare attenti e continuare ad alimentare il libero arbitrio, a conoscere questi animali per dominarli, per addomesticarli. L’uomo deve continuare a vedere la matematica come uno strumento di supporto nel leggere il mondo che ci circonda e non viceversa. Da qui è nato il desiderio di ‘aprire il convento’, dove abbiamo la sede, e contaminare le persone, soprattutto i ragazzi delle scuole, con questo pensiero di fondo».
Qual è la sua bestia preferita?
«A me piace tantissimo la Monodontita, un pesce che sembra avere un volto umano. Rappresenta una tecnologia che ci studia, ci guarda e prende le nostre sembianze. Così sono tanti strumenti come i social: guardano le nostre abitudini, ci studiano, vedono i nostri comportamenti, iniziano a classificarci, a capire come ci comportiamo e sembra che si crei uno specchio perché i software iniziano a consigliarci le canzoni che ci piacciono, i nostri gusti, quello che vogliamo acquistare. È chiaro che sono comodi, ma anche molto oscuri e pericolosi perché leggono i nostri gusti e le nostre attitudini. Abbiamo disegnato questo animale con diavoletti che escono dal suo corpo per ricordare che non è l’algoritmo che decide ma siamo noi che decidiamo di condividere nostre informazioni».
Noi sempre più attaccati allo smartphone, in due anni di pandemia questo cetaceo è ingrassato parecchio!
«Sì è vero, durante il lockdown in particolare abbiamo usato molto questi sistemi che ci consigliano per esempio cosa mangiare e che film vedere. Parti della nostra vita o dei nostri gusti li abbiamo apparentemente demandati a questi strumenti un po’ depotenziandoci e svuotandoci. È importante riconoscere come funzionano questi meccanismi e continuare ad essere coscienti che siamo noi a governarli e a decidere come usarli».