Una piccola città di 60mila abitanti come Viareggio può avere un futuro ’smart’? A tracciare il profilo generale del concetto di ’Smart city’ e ad analizzare, più nello specifico, in che modo Viareggio possa ripensarsi, è il professor Fabio Lucchesi, docente di progettazione urbanistica e di valutazione ambientale strategica al Dipartimento di architettura dell’Università di Firenze, esperto di pianificazione territoriale e viareggino d’origine.
Professore, quando – e a partire da quali esigenze – viene teorizzato il concetto di Smart City?
«Nella sua formulazione originaria il concetto ha soprattutto lo scopo di evidenziare il ruolo dell’innovazione tecnologica nel migliorare le infrastrutture e i servizi della città e renderli più efficienti. Nella prima fase la discussione sullo sviluppo delle smart city – diciamo a partire dall’inizio del nuovo secolo – si è concentrata soprattutto sull’uso delle tecnologie nel miglioramento delle infrastrutture che caratterizzano lo spazio urbano: il trasporto pubblico e più in generale l’organizzazione della mobilità, l’organizzazione delle reti di telecomunicazione, la gestione e della distribuzione dell’energia e delle risorse idriche, la gestione dei rifiuti.
La questione ha una rilevanza globale: oggi nel mondo la metà della popolazione vive nelle aree urbane, e si stima che il numero crescerà ulteriormente; nel 2050 oltre il 70% della popolazione vivrà nelle città. Si tratta di spazi che occupano il 3% della superficie del pianeta, ma consumano il 70% dell’energia prodotta e producono la massima parte dell’inquinamento: per esempio, oltre il 75% dei gas serra. È evidente che questa concentrazione deve comportare un’attenzione nuova. A partire dal 2010, quando ha lanciato la strategia Europa 2020, l’Unione Europea ha finanziato una grande quantità di progetti rivolti ai settori coinvolti nel modello delle smart cities. Nel 2015 l’Onu ha definito l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile: uno degli obiettivi impegna gli stati a “rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili».
Quali sono gli obiettivi?
«L’idea di smart city non dovrebbe essere appiattita sulla dimensione dell’innovazione tecnologica. Uno studio importante del 2007, tentando di proporre una definizione generale del concetto, ha messo in evidenza la necessità di tenere in conto sei linee di azione nello sviluppo autentico di una smart city: si parla di economia intelligente per segnalare la necessità di sviluppare, nella popolazione urbana, imprenditorialità e spirito di innovazione; si usa l’espressione smart people, per indicare la necessità di migliorare la qualificazione, la flessibilità, il cosmopolitismo dei cittadini, e la loro capacità di partecipare alla vita pubblica; la smart governance ha a che fare con lo sviluppo dei servizi pubblici, di una amministrazione trasparente e aperta alla partecipazione dei cittadini; la mobilità intelligente comporta lo sviluppo dell’efficienza delle reti di trasporto e comunicazione, ma anche il miglioramento delle condizioni di accessibilità ai servizi; lo smart living ha a che fare con lo sviluppo della coesione sociale, della difesa della salute, dell’accessibilità alle condizioni di sviluppo culturale; l’espressione smart environment, allude alla necessità di una gestione sostenibile delle risorse naturali e alla loro valorizzazione».
Quali ostacoli si incontrano nella riqualificazione di una città in senso smart?
«Potrebbero essere messi in evidenza molti casi di successo che testimoniano la possibilità di sviluppo delle città in senso smart, soprattutto nelle grandi città del nord Europa. Però è vero che questa transizione, soprattutto nel nostro Paese, progredisce con lentezza; nei casi più visibili, tende soprattutto a concentrarsi nella dimensione puramente tecnologica. È possibile che alcuni caratteri del nostro Paese, come una modesta propensione all’innovazione, una certa farraginosità della pubblica amministrazione, e una progressiva disaffezione dei singoli rispetto al tema dell’interesse generale impediscano di far diventare trasformazioni strutturali alcune iniziative cui abbiamo assistito negli ultimi anni, legate, per esempio, alla gestione dei rifiuti o al risparmio energetico».
Come può il singolo cittadino essere parte attiva del processo di trasformazione?
«Si possono regolare intanto i propri comportamenti e le proprie scelte di consumo: si può privilegiare il trasporto pubblico a quello privato; e si possono fare scelte nella mobilità individuale più intelligenti di altre. Ma, mi permetto, dovremmo fare quello che è nelle nostro potere rispetto alle altre dimensioni della intelligenza urbana cui si è fatto riferimento: dovremmo abituarci alla complessità crescente dei problemi ed evitare le semplificazioni che caratterizzano le interazioni comunicative dei social network; dovremmo chiedere migliori opportunità per migliorare la nostra cultura e la qualità delle nostre interazioni sociali; dovremmo rivendicare una possibilità di partecipazione effettiva alle scelte del governo locale. Dovremmo probabilmente essere più generosi di noi stessi e del nostro impegno. Parafrasando John Kennedy, dovremmo smettere di chiederci cosa la nostra città può fare per noi, e cominciare a pensare cosa possiamo fare noi per la nostra città».
Ci sono delle peculiarità che favoriscono lo sviluppo di una ‘Smart City’? In quest’ottica, quali sono i punti di forza e di debolezza di una città come Viareggio?
«Non c’è dubbio che temi come la riduzione dei consumi energetici o il miglioramento delle reti di trasporto pubblico possano essere affrontati dalla pianificazione più semplicemente nel caso delle grandi città. La dimensione e la concentrazione rappresentano da questo punto di vista un vantaggio significativo. Le piccole città hanno però quasi sempre un potente punto di forza, che corrisponde alla presenza di una comunità coesa e consapevole delle proprie risorse e delle proprie capacità. Le risorse di Viareggio sono evidenti: un patrimonio ambientale ereditato eccezionale per quantità e qualità che può contribuire significativamente al benessere del vivere urbano; una attitudine all’ospitalità turistica storicamente collegata alla costruzione e alla diffusione di cultura, colta e popolare; una attitudine produttiva di successo legata al mare, caratterizzata, insieme, da rispetto della tradizione e attitudine innovazione.
Bisogna tuttavia riconoscere anche qualche punto di debolezza: il progressivo affievolirsi della coesione della comunità testimoniata da un dibattito pubblico insieme aspro e flebile; un qualche difficoltà della città nel produrre una visione chiara e ambiziosa e condivisa del proprio futuro. Il rischio è che il perdurare di questa situazione comporti un depauperamento delle risorse che abbiamo riconosciuto come punti di forza. La cosa più intelligente che la città potrà fare nel prossimo futuro è impegnarsi per evitarlo».