Siena – Ernesto Di Iorio, amministratore delegato di QuestIt, il primo a creare a Siena una società di intelligenza artificiale capace di fare fatturati e offrire lavoro, si guarda indietro e si rivede studente alla facoltà di Ingegneria, nelle aule del San Niccolò.
«Mi sono laureato nel 2007 – racconta – con i professori Marco Gori e Marco Maggini. Gori ripeteva ad ogni lezione che l’intelligenza artificiale in Italia si faceva solo al cinema e nei laboratori delle Università. Alle lezioni studiavamo la capacità di elaborare linguaggi artificiali, di sviluppare tecnologie per interpretare il linguaggio umano. Ci divertivamo ad usare algoritmi, cullandoci nel mito di Deep Blue, il computer che riuscì a battere a scacchi Garry Kasparov. Decidemmo di elaborare questi algoritmi per risolvere i cruciverba. Fu così che nacque QuestIt».
Il salto logico non è facile da capire. Come sia stato possibile passare da un giochino universitario a un’azienda che ha 40 dipendenti e fatturati che puntano a superare quota 3 milioni e mezzo di euro, non si riassume in poche parole.
«Nel 2007 con il team di ricercatori guidati dal professor Gori – è sempre Di Iorio che parla – vincemmo tanti concorsi, risolvendo cruciverba in pochissimo tempo e battendo tanti enigmisti. Non c’era storia, la macchina era nettamente superiore. Gori fu chiamato da un’associazione americana, facemmo una gara di cruciverba contro esperti a livelli eccellenti, le macchine non riuscivano a competere. Superammo quel gap, QuestIt nacque come spin off dell’Università e del dipartimento di Ingegneria. E oggi ha di fronte una sfida molto più complicata».
L’essenza dell’intelligenza artificiale del terzo millennio sta nei prossimi concetti espressi dall’ad di QuestIt, che indica la nuova strada da percorrere. «Dobbiamo passare da un’interazione tra uomo e macchina a una relazione. Trovare delle interpretazioni anche dei linguaggi non verbali o testuali, ma capire anche il tono della voce, le espressioni facciali, il linguaggio del corpo. A QuestIt abbiamo realizzato il primo assistente multimodale, che ha l’intento di trasmettere informazioni basandosi anche su ciò che vuole sentire l’interlocutore. Tra computer visioni e analisi del suono, ci siamo basati sulle sette categorie emozionali elaborate da Paul Ekman, eminente psicologo americano. Così la macchina, il dispositivo di intelligenza artificiale, basandosi sul tuo stato emotivo, punta sulla persuasione e ti convince ad agire».
Qualunque applicazione di AI cerca di fare le stesse cose, Di Iorio però va avanti e ti descrive le commesse virtuali. «Installiamo le assistenti virtuali sull’e-commerce, ti fanno vedere, ad esempio, un pantalone. E mentre tu lo indossi o guardi il cartellino del prezzo, ti persuadono a mettere quei pantaloni nel carrello o a cercarne altri se dalla tua espressione capiscono che non ti piacciono. E nel caso il prezzo fosse alto per te, ti applicano una promozione al volo, il 10% di sconto. E’ la ’call in action’, la chiamata all’azione lo step ulteriore dell’intelligenza artificiale». Sono passati solo tre anni, con una pandemia in mezzo, dal lancio di Caterina, l’assistente virtuale del Comune di Siena, che ha avuto tanti replicanti in altri Comuni e capoluoghi italiani.
«Caterina – spiega Ernesto Di Iorio – è la prima generazione di assistente virtuale, non aveva sviluppato l’aspetto emozionale. Ora stiamo dialogando con Siena e gli altri Comuni che hanno adottato i nostri assistenti, per migliorare l’algoritmo. Caterina non darà solo risposte ai cittadini, ma cercherà di comprendere anche il loro stato d’animo, ascolterà i suoi problemi e le sue priorità. I cittadini saranno al centro, orienteranno l’azione dell’amministrazione, in una sorta di sondaggio permanente che potrebbe essere utile anche a fini elettorali. Caterina è uno strumento di ascolto fondamentale, l’upgrade è già pronto, dobbiamo solo chiudere il cerchio con i Comuni. E lanciare la nuova assistente virtuale».
Gli ostacoli davanti al SaiHub, il polo dentro Tls. «Borse di studio e assegni, mancano ricercatori»
Paradossalmente il problema è non riuscire trovare cervelli che riescano a realizzare il sogno. SaiHub, la rete di imprese dell’intelligenza artificiale, all’interno del distretto delle Scienze della Vita, sta cercando ricercatori, dottorandi, sviluppatori e offre borse di studio ricche, prospettive quasi dorate.
«Ci sono 29 imprese nel SaiHub – spiega Di Iorio, coordinatore della rete – abbiamo 7 progetti in esecuzione, siamo riusciti a generare anche i primi fatturati. Ma il problema principale sono le risorse umane. Abbiamo avviato sei borse di ricerca regionali, con assegni da 60 mila euro per due anni. Ad oggi non abbiamo nessun candidato. Con l’Università abbiamo avviato un laboratorio congiunto, ci sono due progetti di ricerca da 50mila euro, siamo pronti ad attivare altri 5 progetti, ma non troviamo sviluppatori pronti a gettarsi nell’avventura dell’intelligenza artificiale. Ci sono i soldi ma mancano le persone. E nel SaiHub non applichiamo l’intelligenza artificiale solo sulle scienze della vita, ma anche sull’economia circolare e sulla medicina di precisione».