Perugia – Si chiamano ’Società Benefit’, e rappresentano un’evoluzione del concetto stesso di azienda: integrano nel proprio oggetto sociale, oltre agli obiettivi di profitto, lo scopo di avere un impatto positivo sul territorio e sulla biosfera. Il futuro delle città smart, dotate di servizi, connessioni e condizioni in grado di agevolare la vita delle comunità, potrebbe dunque trovare una migliore e ulteriore vivibilità grazie alla diffusione di questo tipo di imprenditorialità.
A introdurre in Italia la nuova forma giuridica d’impresa, un articolo della Legge di Stabilità 2016. Che cosa prevede?
«In termini generali, prima che giuridici, – spiega Ruggero Campi, dottore commercialista perugino, tra i relatori di un recente convegno sul tema all’Università Statale di Milano –, la società benefit è una sorta di paradigma di sostenibilità sociale. Negli ultimi tempi abbiamo vissuto shock ad enorme impatto economico e sociale, crisi finanziare, pandemie e da ultimo guerre. Tutto questo ci ha fatto comprendere che l’economia, per così dire tradizionale, e i relativi modelli di impresa non sono più adeguati e che la fragilità e criticità del sistema complessivo in una prospettiva mondiale fanno emergere esigenze di antifragilità».
Resilienza dunque?
«Non è solo resilienza, è anche e forse ancor più adattamento nel cambiamento e a cambi di paradigma che facciano evolvere i sistemi verso la creazione di valore condiviso e duraturo che militino verso una convergenza di Stato mercato e società civile».
Concetti e modelli già presenti in altri Stati anche se in Europa l’Italia è stata la prima.
«Esatto, la Benefit Corporation nasce negli Stati Uniti ed in Canada in contesti normativi di common low. Nel nostro Paese il modello è stato recentemente trapiantato come Società benefit e, da ultimo, in Francia come Enterprise a mission».
Italia dunque nazione evoluta.
«Più che evoluta, nonostante tutto. La nostra disciplina sulle Benefit consente di perseguire il beneficio comune senza compromettere lo scopo della produzione e distribuzione degli utili. Un modo diverso ed efficace di fare impresa volto a costituire un indubbio vantaggio competitivo».
Quindi un vero e proprio cambio di passo nell’approccio all’imprenditorialità?
«Diciamo che la norma è pensata per società che vogliano andare oltre l’obiettivo del profitto massimizzando il loro impatto positivo verso le persone e l’ambiente».
Quali sono i vantaggi?
«Una società benefit non costituisce un nuovo tipo sociale, è uno strumento riconosciuto dal nostro ordinamento che crea una solida base per la creazione di valore condiviso senza nulla togliere ai soci che ad essa hanno a suo tempo affidato le proprie risorse. Dunque l’impresa ed i soci ne sono solo avvantaggiati».
Un po’ come le imprese sociali?
«No, non si tratta di imprese sociali o di una evoluzione del non profit, ma di una trasformazione, non nel senso giuridico, dei modelli dominanti di impresa a scopo di lucro, per renderli più adeguati alle sfide e alle opportunità dei mercati del XXI secolo».
Quante sono attualmente le società benefit in Italia?
«Crescono a vista d’occhio e se ci fosse un minimo di attenzione da parte del legislatore fiscale potrebbero aumentare ancor più velocemente».
Un esempio.
«Le società benefit, perseguono volontariamente la realizzazione di una duplicità di scopo, oltre allo scopo di lucro anche una o più finalità di beneficio comune. Per beneficio comune si intende, ma è in evoluzione, il perseguimento di uno o più effetti positivi (perseguibili anche riducendo gli effetti negativi) su persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interessi. La Società Benefit in tal modo trasmette alla comunità e al mercato un messaggio chiaro e trasparente: l’impresa nel produrre ricchezza pensa anche agli altri e li rispetta».
E chi si incarica di promuovere concretamente i “benefit“?
«Ovviamente gli amministratori ma per legge le società benefit devono nominare una persona del management che sia responsabile dell’impatto dell’azienda e si impegnano a riportare in maniera trasparente e completa le proprie attività attraverso una relazione annuale di impatto, che descriva sia le azioni svolte che i piani e gli impegni per il futuro».
Come si diventa società benefit e cosa accade se si cambia idea e si cerca di ’tornare indietro’?
«Sia il percorso evolutivo in Benefit e sia quello regressivo sono molto semplici, basta una modifica dell’oggetto sociale per sua natura soggetto alla sola tassa fissa di registro. Nulla di complicato. Importante, sottolineo, è coniugare bene i due differenti scopi: scopo di lucro e beneficio comune, convivenza che, di fatto, inserisce il fare dell’imprenditore nel solco ormai tracciato della responsabilità sociale dell’impresa».
Ma non si rischia che tutto rimanga apparente?
«Non bisogna confondere il Benefit con le erogazioni liberali o con le forme più comuni e populiste di mecenatismo; lo scopo benefit non è una mera affermazione di principio ma è strutturale. Non un atto isolato ma caratterizzante e si declina in una disciplina legislativa che ha riflessi sulla Governance e sull’enforcement. La scelta della Benefit ha natura strutturale nell’impresa e non al di fuori essa. Non è una concessione dell’imprenditore ma una vera e propria dinamica imprenditoriale».
Papa Francesco parla di economia etica, tema dell’evento che il 24 settembre si svolgerà ad Assisi…
«L’economia etica nonché la sua applicazione in economia è un altro concetto. Tuttavia, nel messaggio del Papa la società benefit può trovare un suo preciso ruolo. Del resto non può escludersi che anche tutto il bene comune prodotto in forma d’impresa dalle Organizzazioni religiose dovrà essere rivisto alla luce del nuovo modello societario».
Un’ultima domanda. Benefit in welfare?
«Perché no»