Modena – L’opera d’arte ha ancora senso nell’epoca della sua riproducibilità tecnica? L’interrogativo che il filosofo tedesco Walter Benjamin poneva all’inizio del secolo scorso va forse oggi aggiornato rispetto allo sviluppo delle nuove tecnologie digitali. Perché forse non tutti lo sanno, soprattutto se non addetti ai lavori, ma esiste una tecnologia «di cui nei prossimi anni si sentirà parlare sempre di più». Si chiama ‘Non fungible token’, in italiano ‘gettone non riproducibile’, un certificato di autenticità scritto su una catena di blocchi (i ‘blockchain’) di un bene unico, in questo caso un’opera d’arte digitale.
«Si tratta di una soluzione tecnologica che modificherà molte dinamiche sia nel mondo dell’arte ma anche in altri settori e che potrebbe per esempio offrire nuovi modelli di finanziamento per la manutenzione e la cura di musei, monumenti e opere d’arte» spiega Mattia Carretti che nel 2007 ha fondato lo studio fuse* a Campogalliano insieme a Luca Camellini dove operano professionisti provenienti da diversi ambiti con l’obiettivo di «creare progetti artistici sfruttando le potenzialità espressive date dalle tecnologie digitali con lo scopo di contribuire alla diffusione di conoscenza e avere un impatto positivo sulle persone e sull’intera comunità».
In quale ambito lavora Fuse?
«È molto difficile da definire un ambito specifico perché tutto quello che facciamo si trova al confine tra diverse discipline. Noi usiamo la tecnologia come mezzo per esplorare forme di comunicazione che possano rendere più accessibili dei contenuti che sono complessi o che lo possono essere. Lo facciamo attraverso la creazione di opere d’arte quando cerchiamo di diffondere dei messaggi o dei principi che sono importanti per noi oppure quando istituzioni culturali ci contattano per veicolare propri contenuti in un modo innovativo».
Quindi si può fare cultura anche attraverso la tecnologia?
«Le tecnologie possono essere strumenti molto potenti, in grado di attrarre e coinvolgere fortemente gli utenti. Questo è evidente se pensiamo a quanto tempo le persone passano interagendo con e attraverso i dispositivi digitali. Se si sfrutta questa forza comunicativa, è possibile veicolare dei messaggi per aiutare la diffusione di cultura e conoscenza in un modo molto efficace e unico».
È cresciuta negli anni la consapevolezza delle potenzialità di questi strumenti?
«Certe modalità di comunicazione basate sui nuovi media, rispetto a quando abbiamo dato vita a fuse* nel 2008 sono entrate a far parte del linguaggio comune, anche da parte delle istituzioni pubbliche. Ma c’è ancora molto lavoro da fare, soprattutto per evitare l’effetto contrario».
Quale sarebbe?
«Il rischio che si corre è che la motivazione che spinge a cercare di usare questi strumenti è dettata da una moda o da un trend ma, in realtà, non si è consapevoli della complessità che sta dietro la progettazione e la realizzazione di una esperienza digitale o interattiva che abbia un senso e uno scopo per le persone. Questo approccio rischia di portare alla realizzazione di progetti di qualità bassa o poco significativi».
Come si può fare per superare questa mancanza?
«Credo che si tratti di un lavoro di diffusione di cultura rispetto agli strumenti digitali che può essere fatto in tanti modi. Noi cerchiamo di contribuire a questo organizzando a Modena il festival ‘Node’ che oltre a portare in Italia alcuni tra gli artisti più interessanti che lavorano nell’ambito digitale, ha lo scopo di diffondere un certo tipo di cultura su questi strumenti e creare un’educazione sull’utilizzo delle tecnologie digitali anche rispetto alla generazioni più giovani cercando di creare una maggiore consapevolezza sui rischi ma soprattutto sulle opportunità che le tecnologie digitali possono portare».
Arte e tecnologia come possono convivere in una città come Modena?
«Il fatto che viviamo in una città piena di storia, di cultura e bellezza è un grandissimo potenziale che spesso noi modenesi, e in generale italiani, sottovalutiamo. Si tratta di un potenziale che può essere amplificato attraverso gli strumenti tecnologici che abbiamo a disposizione se riusciamo a far convivere tutta questa ricchezza che ci arriva dal passato, con una sana e ottimistica propensione verso il futuro che passa anche attraverso investimenti in innovazione, ricerca e diffusione di conoscenza».