«Io penso che la tecnologia sia un mezzo abilitante, non un fine. È fondamentale, uno strumento potentissimo, ma mai completamente indipendente dall’uomo». Antonio Danieli, vicepresidente e direttore generale della Fondazione Golinelli, ha fatto gli onori di casa all’incontro ‘Qn Città future», introducendo il panel di esperti protagonisti dell’evento. Da sempre la Fondazione è attenta alle questioni che riguardano la vita dei cittadini, sia a livello pratico che umano e culturale, soprattutto quando si parla di futuro.
Danieli, questa convivenza tra uomo e tecnologia in cosa si traduce?
«Le infrastrutture tecnologiche possono diventare intelligenti solo se quelle fisiche sono già efficienti. Mi viene in mente un esempio: se un cittadino per andare da una parte all’altra della città ci impiega un’ora con la macchina, allora è inutile parlare di ‘Smart City’».
Non solo tecnologia, dunque.
«La digitalizzazione dei servizi è importante, ma soltanto se i cittadini a loro volta sono alfabetizzati e digitalizzati. Altrimenti la loro vita non guadagna benefici da questi processi».
Cosa occorre fare, quindi?
«Per noi è necessario investire in maniera massiccia, oltre che sulla parte tecnologica, anche per tutto quello che riguarda il capitale sociale. Con la formazione e gli investimenti sui giovani, ad esempio; con l’utilizzo dei Big Data; con l’orientamento delle imprese tradizionali verso le tecnologie digitali e l’Open innovation. Occorre, dunque, un’azione di sistema per fare rete tra i vari enti, per mettere insieme le scuole con i centri di ricerca, per creare un fenomeno di spillover (letteralmente ‘effetto di traboccamento’, ndr). E, in questa chiave di lettura, il ruolo della tecnologia diventa ancor più prioritario. Poi c’è un altro asse su cui investire».
Quale?
«Lo sviluppo deve essere accompagnato dalla solidarietà. La visione della cittadinanza deve essere espressa attraverso tre dimensioni: sociale, economica e ambientale. Così, allora, la tecnologia diventa abilitante per le città».
A cosa si fa riferimento quando si parla di ‘limiti’ per le ‘smart cities’, invece?
«Io penso che sia sbagliato porre l’occhio solo su un territorio specifico, perché ci riguarda da vicino».
Cosa intende?
«Se fino ad ora mi sono concentrale sulla città, esiste anche un orizzonte più ampio. Un altro esempio: possiamo dare vita a una rete urbana di piste ciclabili, ma se a due ore e mezzo di volo da noi ci sono carri armati in guerra che consumano un litro di gasolio per spostarsi di 250 metri, tutto questo diventa inutile. Il nostro tempo è scaduto, non mi stanco di ripeterlo: siamo già arrivati a otto miliardi e il pianeta è indirizzato verso una soglia limite. E’ il momento di soluzioni urgentissime, coordinate a livello globale, ma anche a livello territorio proprio grazie al suolo delle ‘smart cities’».
Bologna in questo percorso come si colloca?
«Su un buon livello. Serve investire ancora di più nella cultura e nella formazioni, perché se abbiamo grandi macchinari e infrastrutture, ma mancano le persone per cogliere queste opportunità, non c’è futuro».