Milano – I tumori solidi si nutrono e si sviluppano anche grazie a particolari tipi di cellule, chiamate macrofagi. L’idea è di armare quelle cellule a distruggere il tumore dall’interno. A questo scopo lavora ormai da otto anni Genenta, un’azienda nata come spin-off dell’Ospedale San Raffaele di Milano e diventata nel 2022 l’unica società italiana quotata al Nasdaq, il prestigioso mercato azionario statunitense del settore tecnologico.
La terapia funziona così: si prelevano le cellule staminali dal paziente attraverso un prelievo di sangue, poi, grazie a un vettore virale preparato in laboratorio, si inserisce nelle cellule uno speciale gene in grado di produrre una proteina antitumorale. Queste cellule vengono poi trasfuse nel paziente, dove iniziano a combattere il tumore. Una modalità che si basa su oltre 25 anni di studi sulla terapia genica e cellulare, prima applicata alla cura delle malattie rare e che ora vuole superare radioterapia e chemioterapia nella lotta al cancro.
«In altre parole, le cellule geneticamente modificate vengono usate come Cavallo di Troia per portare dentro i tessuti cancerosi la proteina antitumorale. La prima fase clinica sull’uomo ha dato risultati molto incoraggianti», sintetizza Luigi Naldini, co-fondatore di Genenta e direttore dell’Istituto Telethon San Raffaele per la Terapia genica. «Questa terapia – spiega – ha anche un altro vantaggio: le staminali durano per tutta la vita, quindi potrebbero essere in grado di rispondere contro eventuali recidive».
«La piattaforma che stiamo sviluppando è applicabile contro differenti tumori», chiarisce Pierluigi Paracchi, co-fondatore e CEO di Genenta. «Oggi la stiamo sperimentando a livello clinico su pazienti affetti da glioblastoma, un tumore molto aggressivo del cervello che non ha cure se non palliative. Lo stesso che colpì la giornalista Nadia Toffa. L’idea, però, è che i test sul glioblastoma facciano anche da banco di prova per tutta la piattaforma, in modo da applicarla poi anche ad altri tipi di tumore».
Nei prossimi mesi, l’obiettivo è portare la sperimentazione alla fase due, creando un trial clinico con 70-80 pazienti. «Arrivare a questo punto, in Italia, non è stato semplice – afferma Paracchi – perché non ci sono molti investitori con competenze nelle biotecnologie. Ce l’abbiamo fatta grazie all’intervento di privati e grandi gruppi industriali».
«Genenta è riuscita ad affermarsi nonostante – sottolineo, nonostante – sia nata in Italia», afferma lapidario Alec Ross, uno dei massimi esperti di innovazione, docente dell’Università di Bologna e consulente di Hillary Clinton e di Barack Obama durante il mandato presidenziale. «Qui il talento è ovunque, ma l’opportunità no. In questo Paese ci sono grandissimi geni nella ricerca, ma spesso non trovano espressione. Questa volta è successo».
Ross, la cui famiglia è di origini abruzzesi, conosce bene la difficoltà nel trovare investitori. «Fare l’imprenditore in Italia è come correre una maratona con uno zaino pieno di sassi a causa della regolamentazione e dell’eccessiva burocrazia». Nella realtà che contrappone una regolamentazione minuziosa e talvolta opprimente all’eccellenza italiana nella ricerca, stavolta è riuscita a vincere l’innovazione. La strategia di cura sviluppata partendo dalle malattie rare ha vastissimi orizzonti e la grande speranza è che sia applicabile a vari tipi di cancro.