Nella mobilità del futuro ci sarà sempre più spazio per i mezzi alternativi. Al momento, però, l’automobile continua a ricoprire un ruolo centrale e, grazie a nuovi sistemi tecnologici, può contribuire a migliorare la viabilità dei centri urbani. E infatti sono sempre di più anche in Italia le “connected cars”, ossia le automobili connesse a internet.
Nel 2021, se ne contavano 18,4 milioni, quasi metà del parco circolante (47%). «Siamo tra i leader in Europa – commenta Giulio Salvadori, direttore dell’osservatorio Connected car & mobility –. Per sfruttare appieno le potenzialità di questi sistemi, però, c’è ancora tanta strada da fare».
Cosa si intende di preciso con “connected mobility”?
«Le “connected cars” sono auto connesse a internet e in grado di comunicare i propri dati – parametri sul funzionamento o sulla necessità di eventuali interventi di manutenzione – sia al guidatore che al meccanico di fiducia. I sistemi più diff usi oggi sono le “black box”, dispositivi associati a polizze assicurative che permettono di monitorare i dati sulla guida. Altri sistemi diff usi sono quelli di frenata automatica d’emergenza o di mantenimento del veicolo in corsia. In generale, nel 2021 il mercato delle “connected cars” ha raggiunto un valore complessivo di 1.92 miliardi di euro».
Quali sono i vantaggi di questi sistemi?
«I benefici sono di tre tipi. Innanzitutto, il comfort: un’auto connessa permette di avere informazioni sempre aggiornate sul traffico o sulla colonnina di ricarica elettrica più vicina. Il secondo vantaggio riguarda la sicurezza, per esempio grazie ai sistemi di frenata automatica di emergenza. Infine, un’auto connessa permette di avere a disposizione molti servizi aggiuntivi, come la manutenzione predittiva, che permette di intervenire prima che si verifichi un guasto».
E i limiti?
«Al momento il limite più grande riguarda l’integrazione di questi sistemi. Abbiamo molte auto connesse, ma ogni produttore tiene i dati per sé: manca una logica di ecosistema. Il secondo problema, quando si parla di “connected mobility”, riguarda l’infrastruttura, su cui scontiamo un ritardo rispetto agli altri Paesi europei. Un aiuto fondamentale verrà sicuramente dal Pnrr, che stanzia oltre 60 miliardi per la mobilità smart e le infrastrutture abilitanti».
Come possono questi sistemi migliorare la mobilità in città?
«Le applicazioni sono tantissime. Un numero maggiore di auto connesse può aiutare a trovare parcheggio più facilmente, evitare le congestioni del traffico e far arrivare informazioni tempestive ai cittadini su eventuali strade chiuse per incidenti».
Una delle novità più attese riguarda le auto a guida autonoma. Quando inizieremo a vederle circolare in città?
«Ci sono tanti fattori difficili da prevedere, ma se dovessi fare una stima, direi che ci vorranno all’incirca quindici anni. Prima, però, è fondamentale superare alcuni fattori critici. In primis, dal punto di vista normativo. Ad oggi, infatti, si prevede che queste auto non potranno circolare insieme a veicoli con conducente, ma solo in zone appositamente dedicate. Questo ovviamente sarebbe un limite enorme».
Come si immagina la mobilità del futuro?
«Sicuramente i servizi di sharing, magari con auto a guida autonoma, avranno un peso sempre maggiore. Se guardiamo a un futuro più lontano, poi, ci saranno sempre più auto elettriche o a idrogeno. Un altro trend interessante è quello della “urban air mobility”, vale a dire i droni in grado di trasportare non solo oggetti ma anche persone. Può sembrare una soluzione fantascientifica, ma potrebbe essere più vicina di quanto pensiamo».