Milano – In sala operatoria arriva il 4K. Attraverso l’impiego di microtelecamera e di uno schermo in alta definizione la cardiochirurgia è entrata in una nuova era. La mano ferma e l’esperienza del chirurgo sono sempre fondamentali in operazioni che possono durare anche parecchie ore ma attraverso lo zoom «cinematografico» sull’organo che pompa il sangue è stato inaugurato un nuovo approccio, definito «mini invasivo endoscopico».
Un’alternativa alla tradizionale sternotomia basata su un’incisione del torace lunga 20 centimetri e la divaricazione dello sterno per arrivare al cuore. «Nella cardiochirurgia mininvasiva ed endoscopica è sufficiente un’incisione di 2/3 centimetri, praticata in genere sul contorno del capezzolo negli uomini e sotto la mammella nelle donne» spiega Emad Al Jaber, direttore dell’unità di cardiochirurgia mininvasiva ed endoscopica al Centro Cardiologico Monzino di Milano.
43enne di origine giordana, è uno dei massimi esperti a livello internazionale della tecnica endoscopica, avendo alle spalle quasi mille interventi (di cui più di duecento l’anno scorso); opera e insegna anche in altri Paesi europei e nel Medio Oriente. primi esperimenti di tecnica endoscopica sono iniziati negli anni Novanta ma è solo dal 2015 che ha cominciato a diffondersi.
Il primo passo durante l’intervento per il cardiochirurgo è praticare una piccola incisione attraverso cui si introduce una microcamera. Il cuore viene così ingrandito su una colonna video in 4K che diventa un’estensione «potenziata» della vista dello specialista, con dettagli nitidi dell’organo che sarebbero inaccessibili ad occhio nudo. Poi, facendosi guidare dal sistema ottico e tenendo lo sguardo fisso sul monitor, il cardiochirurgo effettua l’operazione al cuore adoperando speciali ferri, strumenti chirurgici più lunghi di quelli tradizionali.
L’applicazione dell’endoscopia è riservata a soggetti adulti e riguarda l’80% delle patologie cardiache che necessitano di un intervento chirurgico, come le malattie delle valvole, i difetti congeniti in età adulta, la fibrillazione atriale e le masse cardiache, inclusi i tumori. I vantaggi dell’approccio mini-invasivo per il paziente sono innumerevoli: «Il dolore è inferiore, ci sono meno traumatismi, meno rischi di sanguinamento, infezioni e complicanze del post-operatorio.
La durata della degenza è contenuta (4 giorni contro i 7 dell’intervento tradizionale) e anche la ripresa dell’attività quotidiana è più veloce: i pazienti operati con sternotomia possono tornare a guidare la macchina dopo due mesi, con la chirurgia mininvasiva bastano due settimane» dettaglia il dottor Al Jaber. Ma soprattutto si guarisce più in fretta dalle ferite dell’anima: «Essendo il taglio di solo 2/3 centimetri, l’impatto estetico è molto contenuto e soprattutto per le pazienti femminili è un grande vantaggio psicologico. Diversamente con la sternotomia ogni volta che ci si guarda allo specchio c’è una lunga cicatrice che ricorderà sempre l’operazione al cuore a chi l’ha subìta».