Milano – Un’impresa con oltre un secolo di storia specializzata nella tecnologia dei bracci di carico marini. E protagonista pure del presente: la Flexa infatti da Milano è in una «fase interlocutoria» – precisa Cesare Bormioli, 70 anni e sales director dell’azienda – per fornire le sue strutture tubolari anche al rigassificatore galleggiante di Piombino, una delle navi acquistate da Snam per aumentare l’autonomia energetica dell’Italia dalla Russia che potrebbe entrare in funzione – condizionale d’obbligo viste le contestazioni attorno al progetto – nella primavera del 2023. Se l’affare andasse in porto sarebbe un bel colpo per la Flexa, nata nel 1921 come Flexider, una delle tante aziende legate alla galassia del gruppo Fiat che produceva anche marmitte.
Dopo alcuni passaggi societari, nel 2000 è stato rilevato il solo ramo d’azienda dei bracci di carico per il rilancio come Flexa. «In questi anni siamo cresciuti. Siamo passati da 1 milione di fatturato a circa 6/7 milioni l’anno scorso», afferma il manager. Oggi l’impresa ha trenta dipendenti, con uffici, ingegneria e officina di ricambi a Milano mentre il sito produttivo – che realizza la commessa, per la fornitura di un braccio si richiedono almeno otto mesi – si trova a Monselice, provincia di Padova.
Fra i clienti della Flexa ci sono le maggiori oil company come Exxon o Eni. Sono oltre 500 le sue installazioni in giro per il mondo. I bracci di carico sono un sistema di trasferimento per veicolare prodotti chimici e idrocarburi liquidi e gassosi, come petrolio, diesel e anche quel gas naturale liquefatto (Gnl) che rientra fra le strategie del Governo per diversificare le fonti di approvvigionamento.
«Il Gnl si ottiene a partire dal gas naturale estratto dai giacimenti nel sottosuolo; per ridurre i suoi volumi e rendere agevole il trasporto sulle gigantesche navi metaniere viene sottoposto a un passaggio di stato, da gassoso a liquido e mantenuto a – 162 gradi. In porto il gas viene trasferito su navi galleggianti di stoccaggio e rigassificazione, le Fsru, acronimo di floating storage and regasification unit: lo è la Golar Tundra comprata da Snam. Il trasferimento avviene tramite i bracci di carico: così il gas viene stoccato nei serbatoi. A questo punto può essere trasferito in autobotti come liquefatto oppure rigassificato per essere immesso nel gasdotto, dove si dirama attraverso la rete di Snam», precisa Bormioli.
Del gas, secondo il direttore di Flexa, non ci libereremo presto: «Non credo che nel prossimo decennio faremo a meno di gas o petrolio. Ci vorrà del tempo perché le fonti alternative raggiungano un livello di produzione di energia tale da poter sostituire le fonti fossili. E la domanda di bene energetici è sempre maggiore. Dovremmo approfittare di questo periodo di interregno per investire su centrali nucleari di nuovissima generazione e anche sul solare, sviluppando nel contempo adeguati sistemi di stoccaggio per l’energia».
Maxi investimenti e super indotto. La scommessa Snam
È di 72 milioni di euro il costo preventivato da Snam per far entrare in funzione il rigassificatore, una volta che la nave Golar Tundra sarà ormeggiata nel porto di Piombino. Per quanto riguarda il tratto di allacciamento, si stima una spesa di 23 milioni, più 8 milioni per i lavori in banchina. Le opere complementari di cantieristica, scavi, movimentazione materiali e logistica, tramite subappalti locali, incidono per 21 milioni.
La direzione dei lavori altri 4 milioni, 11 milioni per i materiali e 5 milioni in progettazione e studi specialistici. Il cronoprogramma dell’investimento è ripartito in 37 milioni per il 2022 e 35 per il 2023. Snam immagina una ricaduta positiva per l’indotto in 978 unità lavorative annue. L’obiettivo è far diventare operativo il rigassificatore ad aprile 2023, «a patto – sottolinea Snam – che vengano ultimati i processi autorizzativi e completati gli interventi di realizzazione dell’investimento». La nave rimarrà nel porto fino a marzo 2026 «per poi essere collocata altrove».