Firenze – Mezzi pubblici ecologici, veicoli alternativi, servizi ottimizzati, infrastrutture all’avanguardia. Sono tutti ingredienti di una città intelligente. Ma cosa serve perché sia davvero una «smart city»? A spiegarlo, l’ingegner Paolo Nesi, professore di Sistemi di elaborazione delle informazioni all’Università di Firenze, impegnato da anni nel progetto Snap4City, piattaforma sviluppata da un laboratorio Unifi per immagazzinare e analizzare i big data in funzione della gestione di temi come flussi turistici, parcheggi disponibili o illuminazione.
Professore partiamo dai dati positivi. Cosa esiste già?
«Quasi tutte le città di medie e grandi dimensioni si sono dotate di sistemi di raccolta di dati, per esempio relativi al traffico, all’ambiente o ai rifiuti. Sono meccanismi consolidati, ma resta il problema di come sfruttarli. La maggior parte dei Comuni non hanno un sistema che possa integrare i dati fra loro e utilizzarli in modo utile».
Ci faccia qualche esempio.
«Se so che in una strada è previsto il passaggio dei camion per la raccolta dei rifiuti a una determinata ora, posso fornire questa informazione agli automobilisti e, a maggior ragione, alle ambulanze e ai mezzi di soccorso, evitando che restino bloccati nel traffico. Questo è un piccolo esempio, ma le possibili interazioni sono tantissime».
Perché non viene fatto?
«Ci sono alcune analisi su piccola scala, ma manca una visione più ampia e strutturala, che interessi l’intera città. Questo fa sì che anche i problemi ricorrenti, quindi facilmente risolvibili, non vengano gestiti. In Italia siamo ancora fermi a un vecchio concetto di «smart-city» in cui l’obbiettivo era creare microservizi un po’ più intelligenti, senza metterli in sinergia. Molte città europee, al contrario, stanno procedendo nella gestione dei dati e nel loro uso per migliorare la vita dei cittadini e la qualità dei servizi».
Da cosa deriva il ritardo?
«L’intelligenza artificiale nelle città viene vista come qualcosa di troppo complesso da gestire, ma non è così. Un altro motivo di questa resistenza è che si preferisce spesso investire in interventi strutturali, più tangibili e visibili».
Come dovrebbe essere la città del futuro?
«Già nel 2019, prima del Covid, abbiamo elaborato il modello della “Città in 15 minuti“. L’idea base era che ogni punto della città fosse in grado di fornire ai propri residenti tutti i servizi a una distanza di 15 minuti a piedi. In questo modo si crea un ambiente in cui i macro spostamenti non sono necessari. Con questo progetto abbiamo vinto la challenge nazionale di Enel X che ha poi reso il modello accessibile a tutti i Comuni».
Il covid secondo lei ha inciso?
«Qualcosa è cambiato a favore della digitalizzazione, ma in certi casi stiamo tornando indietro, recuperando i vecchi iter burocratici fatti di carte, documenti da consegnare in presenza e code agli uffici. Mi auguro che fra sei mesi o un anno si possa riflettere meglio su quanto di buono il Covid ha permesso nell’ambito della sburocratizzazione, recuperando alcune procedure».
Il “big data“ per la sicurezza
Fra i progetti elaborati dal Disit Lab (Distributed Systems and Internet Technology Lab) diretto da Paolo Nesi c’è la soluzione open source Snap4City. Il sistema ha ottenuto il primo premio di «Select4Cities», una gara che intende offrire uno strumento gratuito ai decisori delle politiche pubbliche cittadine da applicare nei settori logistica, trasporti, ambiente, energia e sicurezza.
Snap4City è una soluzione open source in grado di sfruttare l’intelligenza artificiale e le tecnologie dei big data per migliorare la sicurezza delle città offrendo rilevamento anomalie, allerta precoce, valutazione del rischio ambientale, supporto alla pianificazione come il vostro miglior esperto internazionale.