Bologna – «Noi abbiamo deciso di dare la nostra chiave di lettura delle città intelligenti, mettendo al centro le persone e le comunità».
Il sindaco Matteo Lepore traccia il proprio, personale bilancio nell’analizzare il percorso di Bologna verso il futuro, partendo dal presente. Un percorso che vede il capoluogo emiliano-romagnolo farsi apripista a livello nazionale quando si parla di servizi all’avanguardia e sostenibili per i cittadini, ma che non può prescindere dallo sciogliere il cosiddetto ‘paradosso’ al riguardo: le ‘smart cities’ migliorano la qualità della vita a discapito del gap sociale? Temi caldi e attuali che saranno affrontati domani all’incontro ‘Qn Città Future’ all’Opificio Golinelli.
Sindaco, oggi cosa significa essere una ‘Smart City’?
«Negli ultimi 20 anni, in ambito urbano, questo fenomeno è stato interpretato in vari modi. Soltanto negli ultimi cinque, però, è entrata in gioco una visione diversa, che non si limita a vedere le nuove tecnologie al servizio del cittadino. Il paradigma si è ribaltato».
In che modo, nello specifico?
«Partendo dal fatto che le città possono essere funzionali alla gestione dei beni comuni e delle piattaforme digitali. Questo ha fatto nascere, a livello europeo, una rete forte legata alla transizione digitale: Barcellona, Helsinki, Amsterdam, Bologna non è la sola».
Bologna vanta il Tecnopolo, un’eccellenza internazionale.
«Qui abbiamo dato vita a un centro nazionale di calcolo, che proprio pochissimi giorni fa ha visto anche l’inaugurazione di ‘Leonardo’: il quarto supercomputer più potente del mondo. E non solo».
Questa rete europea di ‘Smart Cities’, ora, che obiettivi deve porsi?
«Nell’ambito dell’uso delle tecnologie stiamo andando avanti in maniera molto determinata con tanti investimenti, coinvolgendo imprese, università, centri di ricerca. L’impegno non manca, quello su cui siamo già indietro, invece, è la parte normativa».
In che senso?
«A Bologna ha sede la più antica università del mondo: lo studio del diritto nacque proprio per risolvere le diatribe e le controversie. Ecco io oggi immagino come servirebbe un nuovo diritto, legato all’uso delle piattaforme digitali. Parliamo di strumenti in grado di definire e determinare le nuove dinamiche del lavoro, basti pensare al turismo o alla logistica se si fa riferimento al commercio online».
È necessario intervenire, quindi?
«Le piattaforme hanno tante facce, magari sono soggetti privati con sede all’estero ad esempio, e allora entrano in campo diversi aspetti che non possono rimanere senza una regolamentazione precisa. Oltre alle infinite possibilità che la rete concede, anche il diritto deve accompagnare di pari passo questi processi. Per me è proprio questa la sfida più grande quando si parla di ‘smart city’».